Lo studio esamina la figura e la personalità dell’uomo che ha accompagnato il Poeta nell’ultima fase della vita, GianCarlo Maroni, giovane architetto trentino, incaricato di ristrutturare Villa Cargnacco, poco più di un casale di campagna, divenuto poi il Vittoriale, che avrebbe accolto il Poeta fino alla sua morte.
GianCarlo Maroni e l’edificazione del Vittoriale: l’ultimo d’Annunzio e la conservazione della memoria personale e collettiva
di Elsa Abrugiato - Segretario e Tesoriere A.G.A.F.
Dopo l’amara conclusione dell’avventura fiumana, gli ultimi 17 anni di vita (1921-1938) di Gabriele d’Annunzio furono caratterizzati da un profondo e dirompente bisogno di solitudine.
Passioni, amori, culto della bellezza, eroismo, politica, l’esistenza tutta del Vate è contraddistinta da “un vivere inimitabile”, che non poteva di certo relegarsi nelle anguste maglie delle mezze misure, dell’accontentarsi, delle banalità e mediocrità di un’epoca.
Forse fu proprio questo il motivo per il quale avvertì intensamente tanto l’esigenza di sentirsi uomo che incide profondamente sul suo tempo, dedito alla mondanità e alla vita pubblica, quanto quella – al momento del suo ritiro dalle scene – di isolarsi completamente da una realtà che sentiva non appartenergli più.
Attraverso questa consapevolezza, intraprende un nuovo – e nel contempo definitivo – percorso del suo ardente incedere, che lo porterà ad approdare sulle sponde del Lago di Garda in quella che diventerà la sua ultima dimora: Villa Cargnacco, presto da lui ribattezzata Il Vittoriale degli Italiani (Fig. 1).
Il suo trasferimento, in quella che inizialmente fu una semplice casa di campagna, segna anche il definitivo passaggio di consegne tra due importanti figure maschili a lui particolarmente vicine: l’esuberante Tom Antongini, biografo e segretario particolare, nonché amico fedele del Comandante fiumano, e il più riservato e schivo GianCarlo Maroni, giovane architetto trentino al quale affiderà la ristrutturazione della Villa, ma che ben presto assumerà anche il ruolo di contabile e confidente.
La rilevanza di questi due personaggi è tale non soltanto per lo stretto legame personale che avevano avuto con il poeta pescarese, ma anche per il prezioso contributo che fornirono per tramandare e diffondere la memoria dannunziana.
Una memoria che si presenta con variegate sfaccettature, in quanto gli stessi ebbero la fortuna di conoscerlo e frequentarlo in due momenti completamente diversi.
Ciò che è certo, è che entrambi ne subirono il suo fascino irresistibile, il carisma di un uomo che – ben conscio dei confini della sua individualità – era stato capace di staccarsi dal mondo e contemporaneamente di influenzarlo profondamente, similmente ad un rivoluzionario.
«Non soltanto ogni casa da me arredata, non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto nelle diverse età della mia vita, fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me un modo di rivelazione spirituale, come un qualunque dei miei poemi, come un qualunque dei miei drammi, come un qualunque mio atto politico o militare, come una qualunque mia testimonianza di dritta e invitta fede.
Perciò ardisco offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane e tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro, non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito.
Già vano celebratore di palagi insigni e di ville suntuose, io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e di trasfigurazione.
Tutto infatti è qui da me creato e trasfigurato.
Tutto qui mostra le impronte del mio stile nel senso che io voglio dare allo stile.
Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linee, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risanguinano le reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città gloriose?
Ogni rottame rude è qui incastonato come gemma rara. La grande prora tragica della nave “Puglia” è posta in onore e luce sul poggio, come nell’oratorio il brandello insanguinato del compagno eroico ucciso. E qui non a impolverarsi ma a vivere son collocati i miei libri di studio, in così grande numero e di tanto pregio, che superano forse ogni altra biblioteca di solitario studioso.
Tutto qui è dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. Come la morte darà la mia salma all’Italia amata, così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia
amata».
(Atto di donazione del Vittoriale, 22 dicembre 1923 – Estratti)
Se il Vittoriale degli Italiani deve la sua genesi al genio di Gabriele d’Annunzio, il suo completamento, conservazione e tutela sono opera devota del lavoro dell’architetto GianCarlo Maroni. [...]
Sunto estrapolato dalle pubblicazioni “La vita come opera d’arte. Gli uomini di d’Annunzio: Antongini, Barrès e Maroni fra storia, letteratura e grafologia”.
ATTI DEL CONVEGNO DI STUDI – IV EDIZIONE DELLA “FESTA DELLA RIVOLUZIONE” PESCARA, SETTEMBRE 2022. Ianieri Editore.